C’è uno spiraglio in tema di immigrazione. Anzi due. Il primo è quello della volontà espressa dal Governo di rivedere l’attuale normativa di entrata in Italia. Secondo la legge cosidetta Bossi-Fini, oggi è possibile arrivare regolarmente da un paese extra-Ue solo se già si dispone di un contratto di lavoro. Il che significa partire da Mali, Senegal, Moldova o Ucraina – per fare qualche esempio – avendo già in tasca un’intesa firmata con un datore di lavoro che ti assume sulla fiducia. Ciò è assai poco praticabile; molto più probabile è che si parta alla ricerca di fortuna e, una volta qua, ci si metta alla ricerca di un’occupazione, scontando la clandestinità e il lavoro nero pur di sfangarla. Una delle idee per superare la legge Bossi-Fini è quella di aprire alla concessione di un permesso di soggiorno temporaneo che consenta l’entrata in Italia e successivamente la ricerca di un lavoro sotto il tutoraggio di organizzazioni pubbliche e private che garantiscano una sistemazione decente ai migranti nel tempo di permanenza.
Il secondo spiraglio è legato all’idea di riforma appena descritta. Se entrasse in vigore una nuova legge, si procederebbe, come è stato fatto sempre negli anni scorsi, a una sanatoria che consentirebbe l’emersione delle persone che vengono definite “clandestine” e la contestuale regolarizzazione dei loro rapporti di lavoro che al momento sfuggono a tassazione e versamenti di contributi. Ciò sarebbe legato anche a un versamento di una quota forfettaria a copertura del pregresso e porterebbe, secondo la Fondazione Leone Moress – che ha effettuato uno studio piuttosto approfondito incrociando i dati del ministero delle Finanze con quelli delle stime sul numero delle persone in una situazione di irregolarità – a un beneficio di 1,2 miliardi per le casse statali tra contributi, Irpef e addizionali.
Il calcolo è effettuato partendo da un dato. Secondo autorevoli istituti, le persone straniere irregolarmente residenti in Italia sarebbero circa 600 mila. L’eventuale sanatoria potrebbe applicarsi a circa la metà di questa platea; cioè alle persone che siano in grado di attivare da subito un contratto di lavoro, vale a dire parte di quelle già impiegate i cui datori di lavoro si mostrassero disponibili all’emersione. A questo proposito, per comprendere la verosimiglianza di una stima del genere, va ricordato che la sanatoria contestuale all’entrata in vigore della legge Bossi-Fini nel 2002 toccò oltre 600 mila persone. La Fondazione Moressa calcola che i contributi previdenziali per le persone che svolgono attività di collaborazione domestica e per quelle che lavorano nelle imprese possano rappresentare un gettito rispettivamente di 218 e 586 milioni di euro, ai quali si aggiungerebbero 405 milioni tra Irpef e addizionali locali.
La misura avrebbe una serie di potenziali effetti positivi: sottrarrebbe una quota di popolazione al lavoro nero e al rischio di cadere delle maglie della criminalità a causa del bisogno; porterebbe ossigeno nelle casse dello Stato e, infine, garantirebbe un’integrazione e la vera e propria “creazione” di nuovi contribuenti. Secondo uno studio effettuato a cinque anni dalla sanatoria seguita all’istituzione della Bossi-Fini infatti, l’80 per cento delle persone che ne beneficiarono erano ancora contribuenti regolari.
Per quanto riguarda l’Umbria, stando a una proiezione regionale delle stime effettuate dalla Fondazione Moressa, la sanatoria riguarderebbe all’incirca 5 mila persone e frutterebbe 20 milioni.
Staremo a vedere come si evolverà la situazione. Per il momento però, nonostante le voci di corridoio che nelle scorse settimane sembrano dire il contrario e gli appelli finora inascoltati di alcune associazioni, che spingono sulla sanatoria per poter dare anche agli irregolari gli strumenti sanitari per difendersi dal Covid-19, nulla si sta ancora muovendo su questo fronte.
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