incontro con avv. marinelli UNC

Un aiuto per gli stranieri che vogliono fare impresa: gli sportelli dell’Unione Nazionale Consumatori Umbria

Aprire un’attività commerciale può essere complicato, soprattutto per stranieri o migranti alle prime armi e non abituati alle lungaggini della burocrazia italiana. Per loro il progetto Impact Umbria ha previsto l’apertura di sportelli specifici, utili a chiarire i dubbi ed accompagnare l’interessato verso l’apertura della sua impresa.

Per parlare dei servizi forniti da questi sportelli abbiamo incontrato l’avvocato Damiano Marinelli, per l’associazione partner UNC – Unione Nazionale Consumatori Umbria.

Qual è l’apporto di UNC al Progetto Impact Umbria?

Ci occupiamo di attività ben definite: due sportelli fisici con 80 ore di apertura, uno sportello online sul nostro portale, e un percorso formativo per gli interessati ad avere strumenti minimi per aprire impresa in Umbria. Come UNC abbiamo sportelli in tutto il territorio umbro, in strutture pubbliche. E abbiamo in programma di prendere accordi con altre istituzioni locali per aprire sportelli dove ci sia domanda, ad esempio a Corciano, dove chi ci contatta non ha uno sportello in loco ma è costretto a venire a Perugia.

Gli sportelli aperti da marzo, e anche quelli online, se non sono spinti da attività correlate fanno fatica. Per questo motivo ci occuperemo di fare pubblicità all’iniziativa e di curare il sito, in modo da essere il più chiari possibile per chi vuole raggiungerci attraverso canali diversi rispetto allo sportello fisico. Contatteremo inoltre le associazioni che fanno attività di sportello, che possono avere maggiormente il polso della situazione del territorio, anche nell’ambito di nostra competenza: avere un punto di riferimento a livello locale è incredibilmente utile, anche solo per dare maggiore visibilità all’iniziativa.

Quali sono i risultati che pensate di raggiungere?

Abbiamo come obiettivo di raggiungere 73 persone, un numero elevato: è un progetto ambizioso, ci piace puntare in alto. L’idea è che con queste “sentinelle” del progetto, spiegando a queste persone un po’ più attive, e facendole collaborare con noi, vengano attivate delle modalità di incontro che vadano oltre l’attività formale di sportello (quindi anche oltre gli orari stabiliti). Ad esempio pensiamo ad incontri informali a casa delle persone interessate all’argomento, e magari prenderci un’ora per spiegare e fugare dubbi.

Ovviamente non tutti quelli che vengono a chiedere informazioni poi vanno avanti con la richiesta di documentazioni e approfondendo il discorso, e forse la metà di questi arriva fino in fondo. In sostanza, più o meno siamo su una persona ogni dieci. Chi ce la fa spesso è chi riesce a rimediare un aiuto, un finanziamento, o riesce a servirsi del microcredito. Un discrimine importante è il tipo di attività: se i costi di ingresso sono bassi, l’idea diventa molto più fattibile. Ma anche solo far passare l’idea che è una cosa fattibile, che anche altri migranti hanno potuto farlo, è un passaggio fondamentale.

Quali sono i numeri registrati online finora?

Stiamo parlando di più di 1000 persone che hanno visitato il portale, ma oltre a questo ci sono anche i social: Twitter, Instagram ma soprattutto Facebook, che sta facendo buoni numeri. La visibilità è importante per la buona riuscita del nostro apporto.

Quali sono i passi che seguite nella vostra attività di sportello e di consulenza per facilitare l’ingresso di uno straniero nell’imprenditoria?

Nei corsi che facciamo per i migranti, al contrario di quanto succede con quelli per gli italiani, la differenza è che spingiamo molto sulle domande, per capire bene quali siano le capacità della persona e le reali possibilità di riuscita di un’idea imprenditoriale.

Bisogna sempre considerare che non tutti vogliono il lavoro autonomo, ma alcuni hanno effettivamente uno spiccato senso imprenditoriale, magari latente, oppure soffocato dai dubbi, dalle paure delle spese e del rischio, dalla scarsa conoscenza di quegli strumenti di microcredito che potrebbero aiutare ad aprire un’attività, o dalla scarsa fiducia nella propria idea di business. Una volta appurato che la persona voglia effettivamente aprire un’attività in proprio, il nostro ruolo, sia in fase di consulenza che di formazione, è quello di valutare criticamente l’idea facendo un business plan: analizzare costi e benefici, farsi un’idea di introiti e spese, la possibilità di chiedere credito e le eventuali garanzie che bisogna produrre, avere ben chiari gli eventuali rischi e i vantaggi propri del lavoro autonomo. E per prestare un servizio il più completo possibile abbiamo preso contatti con una rete di professionisti, dai notai agli psicologi ai commercialisti. Consulenze del genere necessitano di un approccio interdisciplinare.

C’è discriminazione nell’ambito della creazione di impresa?

C’è, ma è più forte quando si parla di credito. Sfortunatamente, capita che l’ente erogatore richieda maggiori garanzie rispetto alla norma. Da un certo punto di vista è naturale, a metà tra il pregiudizio e la praticità: concedere credito ad uno straniero per un ente erogatore rappresenta un rischio maggiore, giustificato dal fatto che recuperare un prestito da un debitore tornato senza preavviso nel suo Paese risulterebbe fin troppo complicato.  Ma un discorso simile si può fare per gli italiani che non possono dare abbastanza garanzie, ad esempio gli studenti. Quello che manca è un soggetto terzo che funga da “garante”, che valuti le migliori idee e copra il finanziamento concesso per i progetti più meritevoli.

Spesso è necessario, nelle attività di sportello, supportare professionalmente lo straniero con un’attività di accompagnamento ai servizi che lo metta in condizione di esercitare un suo diritto in condizione di parità con gli altri cittadini. È capitato di dover accompagnare le persone interessate ai servizi di UNC?

Come attività di questo progetto ancora no, ma ci è capitato come associazione: spesso a seconda delle esperienze, delle conoscenze, delle inclinazioni personali può capitare di dover essere fisicamente al fianco dell’interessato nella fruizione di un servizio, anche per operazioni di per sé banali, come ad esempio aprire una partita IVA. Ovviamente momenti importanti come questi rappresentano una criticità, può esserci bisogno di un appoggio esterno. In passato abbiamo notato che, oltre all’apporto dei professionisti, per risolvere queste problematiche un incontro con l’interessato e una persona di sua fiducia, che magari abbia già avuto esperienze simili o abbia una migliore conoscenza della lingua, può essere molto utile sia prima dell’apertura dell’impresa sia in ottica futura. Anche per evitare di spendere troppo in consulenze per problemi di facile soluzione, il che renderebbe più difficile mantenere economicamente sostenibile l’attività; per chiarire per questioni di contabilità spicciola come capire che quanto si incassa in un’impresa non è automaticamente un utile; o per stare in guardia da investimenti sbagliati o eventuali truffe.

Secondo la sua esperienza, quando uno straniero si trova in difficoltà, può essere utile un mediatore culturale per capire le differenze tra il fare impresa nel Paese di origine e qui in Italia?

È naturale che quando si è in difficoltà ci si affidi ad una persona di fiducia: l’importante è che questa persona non diventi un “nume tutelare”, che si diventi dipendenti. Per il supporto di un mediatore culturale vale lo stesso discorso che si può fare per le iniziative finanziate dai FAMI: è grazie a figure ed aiuti come questi che certe funzioni e certi servizi messi a disposizione dallo Stato possono essere davvero funzionali ai bisogni di chi vive in Italia.

Può raccontarci un aneddoto?

Abbiamo assistito due migranti di diversa nazionalità nell’apertura di un negozio di alimentari che è rimasto aperto per alcuni anni: un’esperienza che per loro si è rivelata positiva, considerato che era la loro prima attività in proprio.

Spesso l’obiettivo di chi vuole aprire un’attività in Italia è non solo di crearsi un posto di lavoro qui, ma anche di creare una rimessa verso il Paese di origine, magari con un’attività di import-export. Ad esempio, un uomo che lavorava in agricoltura e che è venuto a chiederci una consulenza aveva pensato di esportare nel suo Paese macchinari dismessi, inutilizzati qui in Umbria. Nel caso specifico abbiamo verificato che considerati i costi non ci fossero margini di manovra per un’attività profittevole, ma comunque l’ottica deve essere diversa rispetto a quella “europea”: nella nostra filosofia ogni fallimento è una sconfitta, mentre un punto di vista più utile sarebbe quello di utilizzare l’esperienza, l’idea, anche se negativa per imparare e crescere.

 

Clicca qui per ulteriori informazioni sulle sedi e sugli orari di apertura di tutti gli sportelli aperti

nell’ambito del progetto Impact

 


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