Da un laboratorio di cucito per donne italiane e straniere nasce un emporio sociale, solidale e interculturale.
I manichini vestiti di tutto punto nel mezzo della centralissima via del Tribunale, a Terni, servono ad attirare l’attenzione dei passanti verso quello che appare come un negozio di sartoria e abbigliamento – dove siamo entrati anche noi di Umbriaintegra: Tre Civette sul Comò.
Le apparenze però, si sa, spesso ingannano, ed entrando all’interno del locale le scoperte possono essere davvero tante, a cominciare dalla natura di questo spazio, che vende molto di più che abiti di sartoria di qualità.
Tre Civette sul Comò, è, come tiene a precisare Elisabetta, innanzitutto un emporio sociale. O almeno così è stato definito da chi lo ha ideato e lo gestisce: la Edit coop. sociale, che lo ha realizzato con l’obiettivo di offrire un’esperienza in grado di richiamare alla mente “quei luoghi di scambio e di circolazione delle merci che un tempo si trovavano nel Mediterraneo – si legge in una brochure di presentazione – approdi per viaggiatori e mercanti in cui confluivano e si incontravano culture, linguaggi e tradizioni provenienti da Paesi diversi”.
Quello che era partito come un “progetto di socializzazione e formazione in ambito sartoriale per donne italiane e migranti”, nelle parole di Elisabetta, cresce. Non bastano più nemmeno i locali della ricicleria Arci, dove prima aveva sede il progetto, ma uno spazio esclusivo, dedicato solo a questa attività.
Così, il laboratorio ‘Orli e Vapori’ si trasferisce esattamente accanto all’ emporio sociale. E da quel laboratorio ancora escono gran parte delle creazioni che è possibile ammirare e acquistare da Tre Civette sul Comò, realizzate da richiedenti asilo e rifugiati, ma anche da donne italiane e migranti (uomini e donne) che a vario titolo frequentano le attività del laboratorio. La sartoria, soprattutto nell’Africa Sub sahariana, è infatti una tradizione prettamente maschile: un ottimo esempio di superamento delle barriere imposte non solo da nazionalità ed etnie, ma anche dalle consuetudini che classificano alcune attività come rigidamente ascrivibili a un genere o all’altro.
A dicembre dello scorso anno è nato il primo temporary shop: un’esposizione temporanea dei prodotti del laboratorio per verificare l’eventuale gradimento di una potenziale clientela, mentre ad aprile ha aperto l’emporio sociale Tre Civette sul Comò, collegato al laboratorio, ma non solo. Una vetrina per molte realtà di solidarietà e di integrazione, dove si trovano esposti i prodotti delle Donne Tessitrici di Amelia (laboratorio tessile interculturale) e produzioni artigianali di realtà come Relegart. Il tutto abbattendo gli sprechi e la produzione di rifiuti, grazie a un copioso utilizzo di stoffe provenienti da riciclo o dall’usato di stock commerciali.
«La nostra idea – sottolinea ancora Elisabetta – è mostrare che l’artigianato che proviene da contesti tendenzialmente svantaggiati non è solo “giusto”, ma sa anche essere di assoluta qualità. Chi acquista i nostri prodotti non viene a fare della beneficenza, ma si porta a casa un prodotto che rispetta in tutto gli standard della tradizione sartoriale Made in Italy: eccellenza, passione e qualità senza compromessi».
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