Quali sono i diritti dei detenuti stranieri e perché vengono definiti come “speciali”?
Per fare un quadro più generale sullo status di detenuto, partiamo dalla considerazione che esistono delle Regole delle Nazioni Unite sullo standard minimo per il loro trattamento, le cosiddette “Mandela Rules”. In particolare, la regola 62 sancisce il loro diritto a “disporre ragionevolmente dei mezzi per comunicare con rappresentati diplomatici e consolari del paese a cui appartengono”. La norma dispone inoltre che “ai detenuti che si trovino privi di rappresentanti devono essere concesse le stesse facilitazioni per comunicare con i rappresentati diplomatici dello stato incaricato dei loro interessi, così da garantirne l’effettiva protezione”.
A disciplinare lo status di detenuto straniero più nello specifico, intervengono le Regole Penitenziarie Europee (strumento di soft law e quindi non immediatamente vincolante nel nostro ordinamento -ndr) che prevedono la parità di trattamento tra detenuti italiani e stranieri e sollecitano ad adottare “disposizioni speciali per i bisogni dei detenuti appartenenti a minoranze etniche e linguistiche”.
Anche il Consiglio d’Europa si è espresso su questo tema con la Raccomandazione del 2012, anch’ essa strumento di soft law, riconoscendo ai detenuti stranieri delle esigenze speciali, “derivanti dal fatto di essere detenuti in uno stato del quale non sono cittadini e nel quale non sono residenti, al fine di dare loro pari opportunità rispetto ad altri detenuti”. In particolare, la stessa raccomanda che ai detenuti stranieri che lo richiedono venga dato un adeguato accesso a servizi di interpretariato e di traduzione e la possibilità di imparare una lingua che consentirà loro di comunicare più efficacemente.
Umbria Integra ha voluto indagare questo aspetto, facendo una chiacchierata con Maria Chiara Locchi e Nicola Pettinari, ricercatori del Dipartimento di Giurisprudenza e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia nell’ambito del progetto Printeg*. Il progetto coniuga attività giuridico comparative sulle leggi che regolano lo status di detenuto straniero con attività sperimentali presso la Casa Circondariale di Capanne con il coinvolgimento di detenuti italiani e stranieri.
La fase sperimentale del progetto ha avuto luogo alla Casa circondariale di Capanne, dove sono stati organizzati focus group maschili e femminili che hanno coinvolto la popolazione carceraria straniera e italiana e portato alla realizzazione di un questionario somministrato dai ricercatori. Dopo l’analisi delle risposte dei detenuti, si sono evidenziate le problematiche primarie nella loro quotidianità.
La comunicazione con l’esterno è emersa come essenziale. Gli aspetti legati al culto, al cibo non sono risultati determinanti per i detenuti, mentre il riuscire a mantenere il legame con i propri cari e familiari, lontani nel caso degli stranieri ma anche vicini, è risultato di primaria importanza. Dopo aver registrato questa esigenza ‘affettiva’, i ricercatori hanno deciso di concentrare la propria attenzione di ricerca sull’ utilizzo di Skype in carcere.
Skype in carcere, si può?
Allo stato attuale, i detenuti non possono utilizzare internet e Skype in carcere. Possono farlo solo durante i permessi e con le proprie risorse economiche (ciò presuppone un lavoro all’interno del carcere, prospettiva non sempre realizzabile poiché il lavoro è raro e molto ambito con una domanda superiore all’offerta- ndr). All’interno delle mura carcerarie però, non è mai stato usato. La possibilità dell’utilizzo di Skype è stata prevista dal 2015, con la circolare del DAP (Dipartimento dell’Amm. Penitenziaria), che ha contribuito ad alimentare il dibattito sul tema.
La recente riforma dell’ordinamento penitenziario, ancora in progress, prevede proprio il ricorso a Skype tra i profili di innovazione. Viene consentito l’uso delle tecnologie informatiche all’interno del carcere, anche per i contatti con la famiglia, attraverso l’utilizzo della posta elettronica e dei colloqui via Skype.
La comunicazione con l’esterno permette di non sentirsi soli in un contesto dove c’è un forte rischio di isolamento e fragilità psico-fisica. Proprio a questo proposito, i ricercatori hanno messo in luce quanto sia importante comunicare con i propri cari non soltanto attraverso le visite periodiche ma anche avvalendosi delle videochiamate.
Oltre a soddisfare le esigenze dei detenuti, abbattendo i costi, Skype potrebbe costituire una soluzione comunicativa intelligente, veloce e facile da usare. Le implicazioni di sicurezza? A confronto con i colloqui fisici, ci sarebbero meno rischi e soprattutto meno sorveglianza da dover impiegare. Un punto a favore per le videochiamate. L’utilizzo di Skype però, pone anche dei problemi, in primis la possibilità di estenderne l’utilizzo a tutti i detenuti.
* Printeg- “Rights behind bars in Europe. Comparing national and local rules for the treatment of immigrant prisoners towards new perspectives on integration”. (Diritti dietro le sbarre in Europa. Una comparazione delle discipline giuridiche, nazionali e locali, del trattamento dei detenuti migranti in vista di nuove prospettive di integrazione) è un progetto di ricerca finanziato dal Programma SIR (Scientific Independence of young Researchers) 2014; il progetto è realizzato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia nel triennio 2015-2019.
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