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Breve storia e dati di un razzismo fatto sistema – Le proteste di Black Lives Matter, parte 1

Sono passate poco più di due settimane da quando, il 25 maggio a Minneapolis, l’implorazione di un uomo al suo aguzzino è diventato un grido di protesta. “I can’t breath”, ha detto più volte George Floyd al poliziotto che per 8 minuti e 46 secondi lo ha immobilizzato, schiacciato al suolo, fino a togliergli la vita. E tutto questo perché accusato di aver contraffatto una banconota da 20$.

 

Segregazione fisica, segregazione economica

Chiunque conosca anche solo superficialmente la storia degli Stati Uniti conosce almeno due episodi in cui di enorme rilevanza è stata la questione razziale: la Guerra di Secessione del 1861-1865 (per semplificare, Nord abolizionista contro Sud schiavista), e un secolo dopo il Movimento per i diritti civili, che ha visto la comunità di colore muoversi attivamente per cambiare lo stato di discriminazione e segregazione razziale nel Paese, guidato da figure di spicco come Martin Luther King, o Malcolm X.

È innegabile che la situazione degli afroamericani sia molto migliorata, almeno sulla carta. Eppure, gli Stati Uniti rimangono un paese in cui il colore della pelle continua a fare la differenza. In un report curato dall’Hamilton Project si descrive come un ampio ventaglio di pratiche e politiche, nazionali e locali, che tendano a diversi livelli a svantaggiare la comunità di colore.

Un trattamento ineguale e discriminatorio in primo luogo dal punto di vista delle risorse. Nella prima parte del Novecento una massiccia migrazione interna agli Stati Uniti ha visto le comunità afroamericane spostarsi dal Sud al Nord del Paese, alla ricerca di condizioni lavorative migliori, e concentrarsi nei quartieri cittadini. Contestualmente, i residenti bianchi che hanno potuto si sono gradualmente trasferiti nelle zone residenziali, avendo percepito i loro quartieri come zone improvvisamente “meno sicure”. Questa percezione, per quanto completamente irrazionale e motivata da pregiudizi di carattere razziale (consapevolmente o meno), ha avuto un impatto importante sulla qualità della vita nelle città. Di fatto, gli istituti bancari hanno collegato il fattore di rischio dei prestiti alla componente razziale, il cosiddetto redlining: i quartieri a forte componente afroamericana hanno nel corso del tempo visto meno investitori privati, scoraggiati dalle resistenze delle banche e dagli alti costi per ricevere credito, e minori investimenti pubblici, a causa del minore gettito fiscale della popolazione di colore, fin dall’inizio esclusa da professioni ben retribuite. Il redlining è una pratica illegale dal 1968; ma questo non vuol dire che queste dinamiche non abbiano avuto, e stiano ancora avendo, effetti di lungo periodo.

È un problema in primo luogo scolastico: senza i dovuti investimenti pubblici in strutture ed insegnanti preparati, dalle scuole sono via via usciti ragazzi e ragazze impreparati ad un mondo del lavoro sempre più specializzato e competitivo. Questo deficit di capitale umano ha finito per perpetuare le dinamiche viste poco sopra, che infatti rimangono vere ancora oggi: gli studi dimostrano che i quartieri “neri”, dagli anni Trenta contrassegnati con un alto fattore di rischio, sono ancora oggi abitati soprattutto da cittadini di colore occupati in lavori a basso reddito. Tutto questo, senza considerare le pregiudicanti razziali e a quelle di genere: il risultato è che, se lo stipendio di un lavoratore afroamericano è pari a circa il 75% di quello di un collega non di colore, quanto guadagnato da una donna di colore è più basso di un ulteriore 10-11%.

 

Il braccio violento della legge

La popolazione carceraria statunitense, con oltre due milioni di detenuti, pari a 724 persone ogni 100 mila abitati, è la maggiore al mondo sia in termini assoluti che in termini relativi; per fasi un’idea, è come mettere in galera l’intera popolazione di Milano e Napoli. Il dato da tenere in considerazione è però un altro, ovvero la sovrarappresentazione della componente afroamericana tra i detenuti, il 38% del totale. Seppure la popolazione carceraria afroamericana sia in calo costante almeno dal 2006, statisticamente parlando per gli uomini di colore la prospettiva della galera è ancora molto più probabile rispetto a bianchi ed ispanici: si parla rispettivamente di 2272, 392 e 1018 detenuti ogni 100 mila abitanti appartenenti alla stessa etnia. Anche quando non si parla di detenzione ma solo di arresti, le proporzioni rimangono pressoché le stesse.

Da una parte è vero che, per le ragioni descritte più sopra, situazioni di disagio sociale ed economico potrebbero spiegare da sole questo gap; dall’altra, vari documenti rilevano come le istituzione giudiziarie trattino più severamente i neri che abbiano commesso un reato, con multe e cauzioni più alte e sentenze più lunghe. Più volte trattamenti discriminatori da parte degli agenti nei confronti delle minoranze sono stati insabbiati nonostante prove incontrovertibili; in molte città (ad esempio a Chicago) spesso l’uso della forza non è inserita nei rapporti della polizia, nonostante le testimonianze di neri ed ispanici provino che l’uso della forza sia una prassi comune anche per controlli di routine.

Tutti sanno che quello di Floyd non è stato il primo, né purtroppo l’ultimo, caso di violenza sproporzionata da parte della polizia negli Stati Uniti, in particolare verso la comunità afroamericana. I progetti Mapping Police Violence e Fatal Force rilevano come siano stati 7663 i cittadini morti durante un fermo della polizia contando solo il periodo 2014-2019. Di questi, prendendo i dati raccolti per gli stessi anni dal sito di statistiche Fatal Encounters, le persone di colore sono circa 2000: più di un quarto del totale, per un segmento di popolazione che costituisce poco più del 12% della popolazione. Secondo un paper pubblicato dalla National Academy of Science, per un uomo di colore è 2,5 volte più probabile morire a causa degli abusi della polizia rispetto ad un maschio bianco, e la sproporzione aumenta tra i 25 e i 29 anni (2.8-4.1 su 100 mila contro 0.9-1.4 per i bianchi della stessa età).

Difficoltà economiche, scarsa mobilità sociale, segregazione abitativa, problematiche educative, trattamento ineguale da parte della legge. Sono questi alcuni degli elementi di un sistema che di fatto discrimina la popolazione non bianca ed in particolare la comunità nera negli Stati Uniti. Un razzismo sistematico e sistemico che crea contraddizioni e fratture non ancora sanate nella società statunitense.

A questo punto la domanda è: visto tutto quello che la comunità afroamericana deve sopportare ogni giorno, come possiamo sorprenderci di quello che è accaduto in questi giorni?


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