Nella mattinata di venerdì 22 marzo la Sala del Consiglio della Provincia di Perugia ha ospitato il seminario finale di PUZZLE, per mostrare i risultati delle azioni svolte nei due anni di vita del progetto e per rispondere a due domande: quale è stato l’impatto di PUZZLE sul territori? E quali sono i prossimi passi?
Al progetto ha partecipato una pluralità di attori che hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione, da punti di vista, responsabilità e competenze differenti. Proprio per questo però, il progetto “è stato soprattutto un’occasione per crescere insieme”: questo il pensiero della dott.ssa De Luca, della Questura di Perugia.
Sulla stessa riga il dott. Faloci per la Prefettura, ente capofila e supervisore del progetto. “È stato molto utile come occasione di arricchimento professionale ed umano per tutti quelli che a vario titolo operano nel settore”, spiega, “grazie ad un proficuo scambio di buone pratiche e conoscenze”.
“Il dialogo tra gli stakeholder ha permesso un’analisi a 360 gradi della situazione attuale, e ad un’attenta analisi dei bisogni. Del resto” spiega il dott. Ranieri (ANCI Umbria) “quello migratorio è un fenomeno reale, che non si può affrontare a livello solo ideologico: per questo un tavolo con i soggetti coinvolti nell’accoglienza e fondamentale”.
Soprattutto considerando che, se l’obiettivo generale di PUZZLE è stato quello di potenziare ed ottimizzare il sistema di prima accoglienza per richiedenti asilo, negli ultimi tempi grandi cambiamenti a livello nazionale sono intervenuti a modificare il panorama e gli strumenti dell’accoglienza a livello locale.

“In questo quadro il recente decreto Salvini è per certi veri preoccupante”, continua Ranieri. “L’esperienza degli SPRAR, anche se non sono mancate eccezioni, è stata in generale positiva, grazie all’identificazione dei beneficiari. La situazione che si va delineando invece comporterebbe invece un peso in capo ai Comuni, e ad una situazione di generale incertezza”.
E progetti come PUZZLE hanno dovuto adattarsi ai tempi, senza però perdere di vista l’obiettivo finale, le buone pratiche e le azioni messe nel frattempo in campo.
A livello operativo, la mediazione linguistico-culturale è stata parte dell’Azione 2. Ad illustrare i risultati è stata Elena Severini (CIDIS Onlus): “2500 ore di mediazione culturale e linguistica, effettuate da 20 operatori, tra cui ben 8 ex beneficiari di progetti di accoglienza, specificamente formati per operare in diverse situazioni: dagli interventi informativi nei CAS e negli SPRAR all’azione di supporto alle attività di monitoraggio ed ispezione sulle strutture, dall’appoggio per individui vulnerabili e vittime di tratta alle attività di animazione per la mediazione dei conflitti a livello territoriale”.
Tra gli enti coinvolti nell’attività di mediazione, più propriamente linguistica, è stata anche la USL Umbria 1, in un settore delicato come quello della salute, “con un triangolo azienda ospedaliera-paziente-mediatore studiato per fornire assistenza e completa tutela a tutti i soggetti coinvolti, sia per telefono con il sistema Voice, che di persona con attività di sportello e di mediazione a chiamata”.
Quando il momento dell’incontro tra culture è complicato da una situazione di disagio, ad esempio di tipo psichico, la mediazione diventa particolarmente problematica, e necessita di metodologie apposite. Di questo ha parlato Costanza Amici: “La Mediazione Etnoclinica è una tecnica gestita a livello collettivo per raccogliere esperienze e punti di vista: il racconto è fondamentalmente un momento di co-costruzione, per dare un nuovo senso alla problematica. La ridefinizione del problema crea allora un presupposto per agire e risolverlo”.
Sempre nel livello operativo rientrano “i laboratori interdisciplinari di innovazione sociale, in tre momenti: lo scambio, il confronto, e la sintesi dei diversi punti di vista” spiega Gabriella Delfino, collaboratrice di ANCI UMBRIA.
Per portare a compimento una serie di interventi di questa portata è stato necessario formare appositamente operatori e mediatori. Cristina, di Villa Umbra, illustra i risultati delle attività rientranti nell’Azione 3: “Sono stati organizzati e portati a compimento 11 percorsi formativi, con 301 ore di formazione che hanno coinvolto 280 partecipanti. L’approccio si è basato su tre parole chiave: INCONTRO-FORMAZIONE, tra operatori pubblici e privati e destinatari dell’accoglienza, per organizzare lo sforzo collettivo, del singolo che fa parte di un sistema complesso; INTEGRAZIONE-RETE, con un focus sull’integrazione socio-lavorativa, come creazione di un valore per il futuro; SISTEMA-VALORE, ovvero dare frutti che vadano al di là del progetto in sé, lavorando sul sistema e facendolo crescere”.

Quest’ultimo punto in particolare viene ripreso da tutti i partner presenti in sala, da ARCI Solidarietà (Moriconi: “bisogna puntare sul fatto che rimangano frutti per il futuro”) alla Prefettura (“le sfide dell’immigrazione possono essere affrontate con successo solo grazie a conoscenze e rete di rapporti consolidati”).
Ci sono già prospettive per il futuro: per ARCI le buone pratiche e il protocollo formulati durante il progetto sono strumenti pratici che rimarranno nel tempo. L’associazione Il Cerchio va oltre: “Dobbiamo mantenere i contatti. Per questo il 12 aprile pensiamo di organizzare un nuovo incontro, per parlare più nel dettaglio delle buone pratiche messe in campo dal progetto”.
I partner non sono stati gli unici a dirsi soddisfatti dell’andamento del progetto. Le testimonianze più importanti sono quelle dei ragazzi e delle ragazze che hanno beneficiato delle attività.
“Il progetto mi ha permesso di scoprire cose che non sapevo, fare cose che non avevo mai fatto, di conoscere meglio me stesso” dice Lamine Soumarè. Un altro partecipante, Mamadou, nel suo intervento in sala ha messo in chiaro l’importanza che il progetto ha rivestito per lui: “Ho imparato molto, e ringrazio Dio di avermi aiutato e avermi dato la possibilità di partecipare. Siamo tutti uguali, neri e bianchi, da nord e sud, cristiani e musulmani”.

La giornata si è conclusa con il laboratorio finale, il World Café, in cui tutti i partecipanti sono stati invitati a discutere e scambiarsi opinioni rispondendo a tre domande. Se le prime due riguardavano le rispettive esperienze in PUZZLE e cosa sarebbe rimasto di importante da quanto visto, sentito, e conosciuto in questi due anni di progetto, con la terza sono state raccolte molte proposte pratiche per fare in modo che l’esperienza in qualche modo continui, dal coinvolgimento delle scuole e l’uso dei social per sensibilizzare e attivare i giovani, allo scambio di competenze per dare il via a circoli virtuosi per tutti gli interessati, alla raccolta fondi per finanziare nuove attività nel quadro delle Azioni di PUZZLE.
Per non perdere il bagaglio di esperienze, attività, buone pratiche, racconti, contatti tra associazioni che il progetto ha permesso di accumulare negli ultimi due anni.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.