Dopo venti anni di immigrazione il tema delle acquisizione della cittadinanza italiana è oramai di grande attualità: i dati ISTAT–ISMU, Eurostat registrano che i cosiddetti “nuovi italiani” sono in costante aumento, se si considerano i numeri assoluti si è passati da meno di 20.000 acquisizioni di cittadini non comunitari del 2011, alle 202.000 del 2016.
L’acquisizione della cittadinanza è un processo importante e carico di valore simbolico per lo straniero che ne fa richiesta. Dopo anni di attesa e speranza, spesso alla fine di un lungo percorso di permanenza nel nostro Paese, diventare italiani non può che essere un passaggio emozionante che porta con sé, fra l’altro, notevoli conseguenze giuridiche: si acquisiscono infatti un insieme di diritti e doveri nei confronti dello Stato italiano. A complicare il momento vi sono i casi in cui il paese di origine non permette la doppia cittadinanza. Al migrante si pone allora un bivio, di fronte al quale è costretto a fare una scelta spesso travagliata e dolorosa.
Quello della cittadinanza è senz’altro un argomento delicato e complesso, anche vista la molteplicità dei casi disciplinati dalla legislazione italiana. In alcune situazioni, ad esempio, il processo di acquisizione è automatico (riconoscimento del diritto), mentre in altre è necessario dimostrare il possesso di determinati requisiti (provvedimenti di naturalizzazione), i quali a loro volta hanno subito nel tempo diversi aggiustamenti. Tentiamo quindi di fare un po’ di chiarezza su quali sono le principali e più diffuse ipotesi di acquisto della cittadinanza italiana e attraverso quali procedure è possibile ottenerla.
Cominciamo dal cosiddetto ius sanguinis, o meglio, l’acquisto della cittadinanza per filiazione. Principio cardine dell’attuale legge italiana sulla cittadinanza (legge n. 91 del 1992), stabilisce che sia riconosciuto come cittadino italiano chiunque sia figlio di una madre o un padre italiano. Fino a qui, la procedura è automatica e non desta particolari quesiti. Le complicazioni iniziano quando si prendono in considerazione quei casi, oggi tutt’altro che marginali, di cittadini stranieri nati in un altro Stato ma che vantano la discendenza di un avo italiano. La procedura prevede l’accertamento dell’effettiva discendenza e la prova della continuità della trasmissione della cittadinanza. In pratica la nostra legislazione acconsente all’acquisto della cittadinanza al discendente di terza o quarta generazione di un emigrato italiano se nessuno dei suoi ascendenti in linea retta abbia rinunciato alla cittadinanza italiana. I tempi del processo di acquisizione tramite i consolati all’estero sono di solito molto lunghi, tanto che si è di recente diffusa la prassi di trasferire la residenza in Italia, per poi richiedere la cittadinanza all’anagrafe di un Comune. Vere e proprie agenzie si offrono di sbrigare le pratiche burocratiche necessarie, purtroppo a volte anche tentando di forzare l’iter amministrativo per accorciare i tempi.
La possibilità di diventare cittadino per chi vanta un avo italiano ma che in Italia non è mai stato, si contrappone all’ipotesi di coloro che invece nel nostro Paese sono nati e cresciuti ma che hanno bisogno di aspettare i diciotto anni per richiedere l’acquisizione della cittadinanza. Rientra, quest’ultima, nella disciplina del tanto chiacchierato principio dello ius soli, secondo cui chi è nato in Italia da cittadini stranieri e dimostra di avervi vissuto ininterrottamente fino al compimento della maggiore età può diventare italiano. Negli anni l’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha reso più accessibile questa procedura (per elezione). In particolare l’interpretazione restrittiva del secondo requisito, quello della cosiddetta residenza legale, era fonte di non poche difficoltà. In seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 69/2013, invece, è stato possibile dimostrare di aver risieduto in Italia presentando una documentazione adeguata, come l’iscrizione scolastica o la continuità delle vaccinazioni. Con la stessa norma si è garantita maggiore trasparenza chiamando gli ufficiali di Stato Civile dei Comuni ad inviare una comunicazione ai futuri diciottenni interessati per informarli del fatto che avranno un anno di tempo per esercitare il diritto all’acquisto della cittadinanza.
Le acquisizioni per elezione sono seconde soltanto a quelle per residenza. Questa, detta anche per naturalizzazione, offre la possibilità a chi risiede in Italia da almeno dieci anni, di chiedere la concessione della cittadinanza. Per i cittadini stranieri adottati o i rifugiati politici gli anni di residenza richiesti sono dimezzati mentre per gli europei ne bastano quattro. Il provvedimento che ne segue è discrezionale e subordinato alla valutazione da parte del Ministero dell’Interno. La richiesta telematica, che va inviata attraverso il portale nullaostalavoro.dlci.interno.it, deve essere presentata corredata dall’estratto dell’atto di nascita e dal certificato penale, rilasciati dalle autorità del paese di origine, insieme al versamento di un contributo di 200 euro. Inoltre l’istanza deve essere correlata con l’autocertificazione del possesso di un reddito minimo annuo, della residenza e dell’assenza di carichi penali pendenti in Italia. I tempi di legge per ottenere una risposta sono di 730 giorni, ma è possibile per il richiedente sollecitare gli uffici amministrativi al disbrigo della pratica.
Ricordiamo anche il caso di riconoscimento della cittadinanza in seguito a matrimonio con un cittadino italiano. La procedura è simile a quella per residenza, avviene sempre telematicamente, ma in questo caso le tempistiche sono relativamente più brevi. Anche in questo caso vanno allegati alla domanda gli attestati penali e di nascita dello Stato di origine, insieme con il certificato di matrimonio e l’attestato della residenza e certificato penale in Italia. A questo proposito è interessante osservare che il coniuge residente di un cittadino naturalizzato italiano, deve attendere un anno dall’acquisizione della cittadinanza da parte del marito/moglie, per avanzare la propria richiesta.
Vi sono poi circostanze eccezionali in cui la cittadinanza italiana viene concessa per meriti speciali, conferita dal presidente della Repubblica nei casi in cui il cittadino straniero “abbia reso eminenti servizi all’Italia”. Così com’è successo nel 2015 a Nosheen Ahmad But, ragazza di origine pakistane che si è opposta al matrimonio combinato imposto dalla famiglia.
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