Giovedì 11 luglio è terminato Il Mondo in un Cortile – Cinema dal Mondo, la rassegna cinematografica itinerante che a partire dal 19 luglio ha animato le serate di Terni con due proiezioni settimanali di film non definibili “mainstream”. In chiusura della manifestazione abbiamo incontrato Marco Carniani dell’Associazione Il Pettirosso, l’associazione organizzatrice della rassegna.
Come è nato Cinema dal Mondo, e qual è l’idea da cui siete partiti per questo progetto?
“Cinema dal Mondo è nato nel 2011, sviluppando la nostra idea di cinema con il MiBAC (ndr: Ministero per i beni e le attività culturali) grazie al progetto Migranti. Quest’anno la rassegna è stata sostenuta dall’8 per mille della Chiesa Valdese. Il nostro obiettivo è di proiettare film poco o per nulla distribuiti in Italia che raccontino diversità, punti di vista, storie altre, attraverso un linguaggio il più possibile universale, toccando corde, sentimenti, contesti, lingue sconosciuti. È l’umanità ad essere centrale, è questo che rende il linguaggio universale e quindi fruibile, a prescindere dall’universo di significati che il singolo avvenimento nel film ha in quel contesto. In questo modo si uniscono il particolare e l’universale. Fin dall’inizio abbiamo posto una forte attenzione alle principali nazionalità dei residenti a Terni, ed è un elemento che è rimasto presente anche rispetto alla scelta dei film: i film in lingua originale consentono di promuovere il pluralismo linguistico ed il riconoscimento”.
E qual è stata la risposta del pubblico?
“La rassegna va avanti anche grazie al pubblico che o segue, e quest’anno abbiamo visto una costante, sempre intorno alle 100 persone. Una presenza favorita anche dalla gratuità della fruizione, il che favorisce l’accesso a film che altrimenti sarebbero preclusi.Il pubblico ci sostiene attraverso le donazioni, con contribuiti piccoli o più importanti, a seconda delle possibilità. La presenza del vicinato poi è aumentata con il cinema itinerante: è aumentata la presenza del vicinato, dato che non si è abituati ad avere il cinema sotto casa. Gli altri anni abbiamo cercato noi i posti dove svolgere la rassegna, mentre quest’anno abbiamo chiesto ai privati di candidarsi. I luoghi sono stati proposti da piccoli gruppi di residenti, che accolgono il cinema ed il pubblico in una logica di condivisione. Per i tempi che corrono è una pratica abbastanza controcorrente”.
Quante sono state le proposte per le location?
“Abbiamo ricevuto 19 candidature, che poi abbiamo ristretto a quattro. Alcune delle proposte, per quanto buone, sono state escluse perché andavano approfonditi aspetti tecnici: se si hanno tempi ristretti non è possibile, pur iniziando a inizio anno e facendo i sopralluoghi tra marzo e aprile, per poi chiudere a maggio. Per alcune location l’analisi era da approfondire, perché la proposta era particolarmente motivata; per altri invece lo spazio era interessante, quindi abbiamo fatto camminate di quartiere con gli abitanti per individuare i luoghi migliori. La rassegna è costruita in rapporto con i residenti, di conseguenza deve esserci il loro consenso: se viene individuata un’area con 20-30 proprietari dobbiamo interloquire con tutti”.
È stato complicato?
“È stato più che altro un lavoro lungo, ma estremamente positivo. Così c’è un coinvolgimento diverso. In più abbiamo studiato soluzioni tecniche per installare gli schermi, che poi rimangono a loro disposizione: se vorranno organizzare qualcosa, a prescindere dalla nostra rassegna, potranno farlo. Decideremo per il prossimo anno, già a fine estate inizieremo a lavorare alla prossima edizione e si porrà un problema di sedie: il pubblico viene, i residenti si portano una sedia da casa, ma se vorremo aumentare la pubblicità dell’evento dovremo aumentare anche il numero di sedie. Già quest’anno, se avessimo messo a prenotazione i posti saremmo stati sempre sold out: ogni volta i residenti hanno dovuto portare 30-35 sedie in più! Quindi oltre allo schermo dovremo fornire il vicinato di altre sedie per il pubblico, che alla fine comunque rimarranno a loro. Un elemento in più da considerare per l’organizzazione”.
Per la scelta dei film vi concentrate su un genere in particolare?
“In una rassegna come la nostra i generi si mescolano: la proposta in cartellone spazia, ad esempio prestando attenzione anche ai temi ambientali e ai cambiamenti climatici, come abbiamo fatto quest’anno, o allo sport. Per l’edizione di quest’anno il penultimo film in programmazione è stato Freedom Fields, un documentario inedito in Italia sulla nazionale di calcio femminile libica. Quando l’abbiamo scelto il film che ci sarebbe stato il mondiale femminile, ma non avevamo idea dell’impatto positivo sul pubblico, anche in risposta alle polemiche che ci sono state, né del rigurgito patriarcale che l’evento ha causato in vari personaggi, anche nel mondo dello sport. Siamo stati sul pezzo. Tutti questi film e documentari raccontano storie particolari, molto contestualizzate, ma che toccano argomenti noti al pubblico”.
A proposito di stare sul pezzo: Styx, di Wolfgang Fischer, uno dei film proposti quest’anno, parla di una donna che durante un viaggio in barca si imbatte in un gruppo di migranti in difficoltà in mare aperto. Come vi siete sentiti quando una storia simile, anche se con le differenze del caso, è successa nella realtà?
“Simile a dir poco: tanto per dire, nel caso della Sea Watch la capitana era tedesca, proprio come la protagonista del film; e la proiezione di Styx poi è avvenuta lo stesso giorno del sequestro della Sea Watch. È stata una serie di coincidenze, che nel pubblico ha alimentato la voglia di intervenire, dando il via ad una specie di cineforum spontaneo in cui sono state espresse posizioni di tutti i tipi, anche con divergenze rispetto alle scelte di questo e dei passati governi. Quello che è davvero importante è che abbia spinto alcuni nel pubblico ad esprimere la propria idea: non potevamo non incoraggiare il dibattito”.
Come vedi situazioni del genere, in cui non è il cinema a copiare la realtà ma sembra accadere il contrario?
“In cinematografia esiste la corrente del “cinema del reale”. Probabilmente ciò che vediamo attraverso i mezzi di informazione può avere aspetti che possono essere giudicati dagli addetti ai lavori come surreali, e noi lo riportiamo nel reale. Attraverso il cinema ed il racconto dei suoi protagonisti, che si lasciano dietro le spalle la narrazione e le veline politiche diffuse dalla stampa: si dà centralità ai soggetti, al di là di come si sceglie di trattare l’argomento. Si dà centralità all’umanità, e questo riporta il pubblico ad una dimensione del reale che magari ignorava. Attenzione, non è una cronaca dei fatti: ad esempio, Styx è ambientato nell’Oceano Atlantico, un contesto diverso da quello della cronaca di questi giorni e che noi ignoriamo. Il pubblico ha conosciuto quella realtà, e attraverso la narrazione il regista è stato in grado di mettere le persone di fronte ai fatti, quindi interrogando il pubblico. Parliamo di un pubblico che di base è informato, ma questo non vale per tutti. Quando mi accorgo che non conosco qualcuno nel pubblico, è sempre una cosa positiva. Il film è stato molto apprezzato, qualcuno è intervenuto, ma tanti non l’hanno fatto: non tanto per la paura di sbagliare, quanto perché non avevano nulla da aggiungere quanto detto nel film o dagli altri spettatori. Magari chiacchierano alla fine del film, ma pubblicamente è più difficile intervenire, se non si ha nulla in più da dire.”
Torniamo ai film: come li selezionate?
“Fino ad un paio di anni fa era un piccolo gruppo dell’associazione il Pettirosso ad occuparsi della selezione, vedendo le presentazioni in altri festival e rassegne in giro per l’Italia, cercando quali fossero i film più sensibili e attinenti al nostro genere di rassegna: sotto casa, a porte aperte. Poi abbiamo allargato la commissione, la direzione artistica è cambiata, e ci siamo dati come modalità di lavoro quella di valutare i film visti preventivamente. Abbiamo chiesto screener a parecchie case di distribuzione: alcune non hanno risposto, ma altre sì, e sono stati i loro film ad essere stati valutate. Un lungo lavoro, iniziato a inizio anno e durato circa quattro mesi. L’estrema durezza rappresentata in alcune pellicole ci ha spinto a scartarle. Il film può essere cupo, o lasciare sensazioni negative, ma la durezza delle immagini (a cui magari siamo abituati dai film in televisione) cerchiamo sempre di evitarle. Anche per tutelare il pubblico, che è molto vario: per il film sull’attualità c’è un tipo di pubblico, per la commedia ce n’è un altro, per l’animazione un altro ancora, …”
Quanti film avete dovuto scartare durante la selezione?
“Circa una ventina di film non ci sono stati concessi dalle case di produzione; circa altrettanti invece sono stati i film esaminati che sono stati considerati non in linea con la rassegna. Questo per vari motivi: alcuni perché non avevano sottotitoli, e crearli per tutti sarebbe stato un lavoro fin troppo impegnativo, anche considerando che abbiamo dovuto produrli per due film su otto; altri perché non ci convinceva la proposta, magari interessante dal trailer ma non come prodotto in sé, o perché era un film che già trattava un tema già coperto o che era in una lingua già di un altro film. La scelta si è dovuta restringere a otto pellicole. E poi c’è una questione di sostenibilità economica: fare otto film comporta un costo, farne quattordici come nelle passate edizioni ne comporta un altro. In una rassegna cinematografica la voce costi più alta è sempre quella riguardante i film: quanto la distribuzione o la produzione ci chiede per poterlo proiettare, una somma che varia in base alle politiche commerciali della casa”.
Parlando invece dei film proiettati, quali hanno raccolto più attenzione da parte del pubblico?

“Non è facile dare una risposta, dato che la presenza del pubblico è condizionata dalle relazioni che abbiamo in loco: dove abbiamo iniziato, con diversi soci attivi e dove eravamo già stati lo scorso anno, ci sono state più di 100 persone, con un riscontro particolarmente alto in occasione del primo film, Il maestro di violino, un bel film tratto da una storia vera, al quale stavamo dietro da diversi anni. Ma anche i film più pesanti hanno strappato un applauso alla conclusione, quindi non ti so dire quale effettivamente ha riscosso più consensi. È anche una cosa positiva: vuol dire che c’è stato un coinvolgimento importante in tutte le proiezioni. Ma la presenza di pubblico ovviamente non può essere l’unico metro per misurare quanto un film sia stato gradito”.
Dal punto di vista personale invece?
“Styx è un film toccante, potente anche se poco dialogato: assolutamente da vedere. E poi direi Il maestro di violino, per la soddisfazione di poterlo proiettare dopo tre anni di richieste, oltre ad essere obiettivamente un bel film. Degno di nota è anche Freedom Fields: un documentario ben fatto, che ti fa vedere la società libica attraverso una lente che abbiamo conosciuto quest’anno, quello del calcio femminile, e quella della presa di posizione delle donne che praticano il calcio contro il patriarcato. L’abbiamo visto applicato alla realtà della Libia, in cui si inserisce l’aspetto religioso, oltre alle organizzazioni estremiste che hanno minacciato più volte la squadra. L’avversione verso il calcio femminile emerge come uno degli strumenti del patriarcato, e non per via della religione. Noi in Italia l’abbiamo letta attraverso la chiave di lettura “corretta”, la stessa lente con cui vengono criticate le scelte della federazione libica di non appoggiare la squadra femminile. Vedere il film attraverso la chiave della critica alla società fondata sulla libertà degli uomini e sul controllo delle donne è stato molto utile. Una bella pellicola, opera prima dell’unica regista libica in circolazione. L’ultimo film in programma invece è una commedia leggera, una coproduzione nippo-europea, con una storia e un modo di raccontarla tipica della filmografia dell’Estremo Oriente, ma una fotografia e un linguaggio più vicino al pubblico occidentale”.
Per quanto riguarda le attività collaterali alla rassegna?
“Ci sono state attività diverse, dalla serata musicale al torneo di calcio, dalla caccia al tesoro dell’ultimo pomeriggio ai laboratori ludici curati da Cidis, ai laboratori di hip-hop curati da una scuola di Terni, a un incontro sul cambiamento climatico e sull’agricoltura sostenibile. Tutte iniziative che hanno coinvolto direttamente i residenti, e a cui pensiamo di lavorare ulteriormente nei mesi a venire”.
Qual è l’importanza del cinema per leggere la realtà e cambiare gli animi?
“Per me l’importante è dare elementi di riflessione, poi ognuno può rimanere della sua idea. Una cosa importante, a livello cinematografico, è quella di esserci sganciati dall’idea che esista una cinematografia “di massa” e una cinematografia “d’autore”, per pochi, come se il cinema di qualità sia solo per una nicchia. Noi, come altri che ci hanno anche costruito su un’impresa anche a Perugia, ci siamo accorti da diversi anni che il cinema di qualità deve essere di massa, ed essere diffuso il più possibile. C’è un elemento di comunicazione, di pubblicizzazione, di identificazione con le iniziative che offrono questo tipo di film, quindi anche con la nostra rassegna. La mole di volontari e persone che danno una mano cresce di anno in anno; il fatto che molti film siano in lingua originale, quando c’è ancora un pregiudizio verso queste pellicole perché “mi costa fatica”, quando invece è una questione di abitudine a una fruizione diversa. L’elemento centrale è riuscire a collegare “cinema colto” e “cinema popolare”: il cinema sotto casa, il cinema gratuito, la capacità di veicolarlo e presentarlo a chi neanche va al cinema, ci consente di fare nel nostro piccolo un grande evento, di veicolare contenuti per dare il là ad un dibattito, una riflessione, una chiacchierata, tra persone che hanno il diritto di non essere a conoscenza di quello che è l’argomento del film, e che magari sono lì semplicemente per il piacere di andare a vedere un film”.
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