dossier statistico immigrazione 2019

La presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2019

Giovedì 24 ottobre si è tenuto, la Sala Goldoniana dell’Università per Stranieri di Perugia, l’incontro per la presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2019.

Dopo i saluti della Rettrice Giuliana Greco Bolli, ha introdotto il discorso che ha sottolineato L’importanza del Dossier per chiunque lavori nel campo dell’immigrazione è stata sottolineata dal Direttore regionale Luigi Rossetti: “poter disporre di questi dati non solo ci permette di leggere in maniera ragionata le statistiche, ma soprattutto ci presenta in modo consapevole il fenomeno, il quale, purtroppo, viene ancora affrontato con molti pregiudizi”.

“Non siamo di fronte ad un’invasione: l’immigrazione è una risorsa fondamentale e va accettate e regolata”. Questo è il pensiero del presidente onorario di Idos, Franco Pittau. Si può capire il ragionamento con un semplice esercizio: incrociare i dati riguardanti gli italiani e gli stranieri. Ormai da anni “le morti annuali nel nostro Paese sono 251mila, un numero superiore a quello delle nascite”, e se a queste si aggiungono gli italiani che ogni anno si trasferiscono all’estero (l’Italia non ha mai smesso di essere anch’essa, per quanto non ci si pensi spesso, un Paese di “migranti”), si scopre come l’Italia sia in costante deficit demografico. “Si stima che nel 2050 la popolazione italiana calerà di ben 7 milioni”: un po’ come se le 8 maggiori città italiane si svuotassero.

Questo pesante deficit non assume dimensioni anche maggiori solo grazie all’afflusso costante di uomini e donne da altri Paesi, per di più in larga parte giovani (sotto i 45 anni), il che contribuisce in parte a mettere una pezza allo squilibrio anagrafico, anch’esso preoccupante, che si registra in Italia.

La situazione in Umbria è stata spiegata, dati alla mano, da Eleonora Bigi, responsabile della “Sezione immigrazione, protezione internazionale, promozione della cultura della pace, giovani” della Regione: se “negli ultimi cinque anni il numero di residenti stranieri in Umbria è risultato in flessione, (da 99.922 nel 2014 a 97.541 nel 2018, il 55,5% dei quali donne), la loro incidenza rispetto alla popolazione autoctona, caratterizzata da invecchiamento e declino demografico, è tornata ai livelli del 2013 cioè all’11,1%”. Tra gli stranieri sono non comunitari 62.898 persone, di cui 31.845 donne (il 58,9%). Numeri che segnalano il consolidamento dei processi di stabilizzazione dei nuovi cittadini nella regione, sempre più parte integrante del tessuto sociale ed economico del territorio”. Ciò rafforza la convinzione che occorra puntare su politiche inclusive volte a migliorare la coesione sociale, ponendo la persona al centro.

È questo il fil rouge che lega molti degli interventi, a partire da quello della stessa dott.ssa Bigi, la quale sottolinea l’importanza di saper cogliere le opportunità offerte dal pluralismo culturale e il contributo di innovazione e di sviluppo che ne deriva.

Sulla stessa linea Anna Vizioli della Chiesa Evangelica Valdese di Perugia che ci ha spiegato l’utilità dell’8xmille attraverso il concetto di diaconia, concetto presente nel Nuovo Testamento: “significa che bisogna aiutare tutte le persone più povere e bisognose; per questo, oltre ai dati, non bisogna dimenticare che stiamo parlando di essere umani che, la maggior parte delle volte, richiedono aiuto e non vanno abbandonate”.

Per Giuseppe Casucci, del Dipartimento nazionale politiche migratorie UIL, se sono gravi le cause principali dell’emigrazionedal Paese d’origine (guerre, pressione demografica, differenze di reddito, crisi economica, …), la situazione in Italia non è comunque rosea: le aziende hanno preferito la manodopera a basso costo agli investimenti, determinando situazioni di sfruttamento lavorativo se non di vero schiavismo, specie in settori come l’agricoltura, le costruzioni o i lavori domestici.

“I dati riportano alla realtà, che è altra rispetto a quanto detto dai media”, dice il prof. Lorenzo Rocca dell’università per stranieri di Perugia, “ed imparare la lingua di un nuovo Paese, è uno degli strumenti più forti di integrazione: è fondamentale fare investimenti sui percorsi linguistici per gli immigrati”. E invece, seguendo un trend ormai in voga in tutta Europa, anche in Italia la conoscenza della lingua si va configurando sempre più come un ostacolo: agli immigrati vengono proposti test linguistici per accertare il livello linguistico B2 (oltre a conoscenze della Costituzione “che spesso anche gli stessi nativi non hanno”), e senza che a prepararli siano corsi con metodologie e monte ore adeguati. In più, le lingue degli immigrati vengono sempre considerate “di serie B”, quando quello che deve muovere il percorso di integrazione dovrebbe essere l’arricchimento reciproco nelle differenze.

La discriminazione sulla base della lingua è solo uno degli aspetti propri della ghettizzazione sia culturale che fisica che spesso gli immigrati devono affrontare in Europa. La soluzione, per il segretario generale dell’ANCI Silvio Ranieri, deve passare per un ripensamento completo non solo della comunicazione dell’immigrazione (“fenomeno in crescita, ma sempre esistito”), ma anche “delle stesse città tenendo conto delle dinamiche dei cambiamenti climatici, della globalizzazione e dei cambiamenti climatici”, oltre che dei sistemi di accoglienza. Invece, l’accoglienza diffusa che ha fatto dell’Umbria un esempio a livello nazionale è stato di fatto smantellato, lasciando solo le grandi strutture in cui p più complesso dare seguito alla formazione linguistica e formativa degli ospitati.

Sulla formazione, stavolta in età scolare, si concentra Gabriele Biccini, del Forum regionale giovani “Gli studenti di liceo di cittadinanza straniera sono passati in poco tempo dal 2 al 7%, ed è cresciuta la partecipazione degli stranieri nelle associazioni. L’integrazione ormai è sostanziale, ma bisogna portare avanti processi che favoriscano i percorsi di crescita e dare possibilità di integrazione”.

“Ora abbiamo qui, nelle nostre città, le stesse persone che abbiamo sempre aiutato all’estero”, dice Domenico Lizzi di Tamat NGO nell’ultimo intervento di giornata parlando del progetto “Coltiviamo l’integrazione”. Se la missione delle ONG è sempre stato quello di dare assistenza allo sviluppo nei Paesi d’origine, sta diventadno più importante la logica della “cooperazione ad ogni latitudine”: in un “sistema Italia” che dal 2017 destina sempre meno risorse alla cooperazione internazionale, è ora fondamentale concentrarsi su chi è già arrivato in Italia, con progetti che ne aiutino sia l’integrazione che la formazione professionale, e magari aiutare quanti vorranno poi tornare nel proprio Paese con l’idea costruirvi un futuro.

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