In seguito alle tragedie della Seconda Guerra mondiale, la comunità internazionale si mobilitò per tutelare quello che venne definito il diritto d’asilo.
L’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, sancì il principio secondo il quale “ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”, mentre la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo di New York del 1967 si occuparono di tracciare i contorni della condizione giuridica del rifugiato. A livello nazionale i Padri costituenti si dimostrarono sensibili alla materia e, fra i principi fondamentali della Carta, introdussero il diritto di richiedere asilo nel territorio della Repubblica allo straniero a cui “sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione” (art. 10 comma 3). Una nozione ampia a cui non ha ancora fatto seguito una regolamentazione organica a livello normativo. Tuttavia sopperiscono a tale mancanza numerose direttive europee le quali, dal 1999 ad oggi, hanno dotato l’Unione di un regime comune in materia di asilo.
Esistono due forme di protezione internazionale che possono essere riconosciute ai soggetti che presentano richiesta di asilo in Italia: lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria.
La prima afferisce alla nozione di cui all’articolo 14 della Convenzione di Ginevra secondo la quale è rifugiato chiunque “nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”. Condizioni essenziali per il riconoscimento dello status sono pertanto: la persecuzione, e cioè l’atto, il motivo e l’agente della stessa, il timore – purché fondato e attuale – e l’impossibilità di trovare protezione nel proprio Paese di cittadinanza o dimora abituale.
A partire dal recepimento della “Direttiva Qualifiche” nell’ordinamento italiano (2004/83/CE, D.lgs. n. 251/2007) è stata ampliata la nozione di persecuzione e introdotta una seconda forma di protezione – la protezione sussidiaria – la quale può essere riconosciuta al richiedente “nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno”, inteso come una condanna a morte pendente, il pericolo di essere soggetto ad un trattamento inumano o degradante, o più in generale di subire una minaccia grave alla propria vita.
A giudicare dell’esistenza di detti presupposti è deputato un organismo ad hoc: la Commissione Territoriale. Per far fronte al numero delle richieste sopraggiunte in Italia negli ultimi anni, ad oggi se ne contano 48, comprendendo anche le Sezioni distaccate. Ognuna di esse si avvale di quattro membri, di cui due nominati fra il Ministero dell’Interno e la Polizia di Stato, un rappresentante dell’Ente locale e un rappresentante dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR). La loro decisione può essere quella di riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria oppure di rigettare la domanda. In ogni caso il provvedimento deve essere motivato e notificato al richiedente asilo dagli organi competenti.
Vi è tuttavia una forma residuale di protezione per quanti non hanno diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, non hanno diritto alla protezione sussidiaria ma non possono essere allontanati dal territorio nazionale in condizioni di oggettive e gravi situazioni personali. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, dunque, viene rilasciato dal Questore a seguito di raccomandazione della Commissione territoriale in caso di diniego, qualora ricorrano “seri motivi” di carattere umanitario come ad esempio motivi di salute o di età, oppure per vittime di situazioni di grave instabilità politica, di episodi di violenza o di insufficiente rispetto dei diritti umani, vittime di carestie o disastri ambientali o naturali, ovvero direttamente su richiesta del cittadino straniero.
A conclusione della breve disamina sulla normativa sul diritto d’asilo è interessante osservare come due importanti trasformazioni legislative, a livello europeo (Regolamento di Dublino) e nazionale (Legge 46 del 2017, il c.d. Decreto Minniti), hanno apportato sensibili modifiche alle procedure giudiziarie per la richiesta di protezione internazionale e di cui ci impegniamo a dare adeguato approfondimento nei prossimi contributi.
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