Frutto di un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il Governo italiano, il progetto dei corridoi umanitari rappresenta a pieno titolo una buona pratica in materia di accoglienza e integrazione. Una pratica innovativa e che lavora ad una sostenibilità futura, non perdendo di vista l’obbiettivo che si trova alla fine del ‘corridoio’: l’integrazione in una nuova comunità.
Il progetto, completamente autofinanziato, dal febbraio 2016 ad oggi ha contato 1621 arrivi dalla Siria, il Libano e dall’Etiopia. I rifugiati sono stati accolti da una rete di famiglie, parrocchie, gruppi di volontari, in 94 città di 18 regioni.
Oggi incontriamo Luciano Morini, membro della Comunità di Sant’Egidio di Perugia che ci racconta dei corridoi umanitari in Umbria.
Ciao Luciano, grazie di averci raggiunto. Iniziamo subito, puoi raccontarci da dove nasce l’idea dei corridoi umanitari?
L’idea dei corridoi umanitari risale al 22 giugno 2014 allorquando Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, lanciò l’appello “Save Aleppo” per fare di Aleppo – città da lungo tempo abitata da cristiani, musulmani ed ebrei – una “città aperta” (cioè sottratta alle operazioni militari) predisponendo nell’attesa di questo corridoi umanitari e rifornimento per i civili. Con il proseguo della guerra, l’attenzione del Papa sulla tragedia della Siria ha dato lo spunto per continuare in questa direzione. Un episodio famoso fu quando Papa Francesco andò in visita a Lesbo ad incontrare dei rifugiati, soprattutto siriani, e riportò alcuni di loro con l’aereo in Italia. Fra questi un ragazzo dalla cui storia è stato tratto un cortometraggio, che ha ricevuto due premi alla mostra cinematografica di Venezia e che è intitolato “L’amore senza motivo”. Molto bello.
Quali sviluppi ha avuto poi questa esperienza?
In Italia la Comunità di Sant’Egidio, insieme con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) e con la Chiesa Evangelica Valdese, ha presentato un protocollo d’intesa al Ministero per gli Affari Esteri e dell’Interno, il primo dei quali sottoscritto nel dicembre 2015, che prevedeva l’ingresso di 1000 rifugiati provenienti proprio dalla Siria. L’intesa è stata sottoscritta e attuata e subito dopo il protocollo è stato rinnovato per altre mille persone. L’anno successivo, a dicembre, si è arrivati ad un secondo accordo, questa volta fra Sant’Egidio, Caritas e Ministero per gli Affari Esteri e dell’Interno che ha coinvolto altre mille soggetti. Gli ingressi avvengono a cicli periodici una volta al mese con sbarchi a Fiumicino.
In Europa il progetto dei corridoi umanitari è stato individuato dalla Commissione europea come pratica da diffondere a livello comunitario e l’obiettivo è che questo modello possa rientrare anche nella riforma del Regolamento di Dublino. A questo proposito c’è un’iniziativa politica trasversale che si chiama “Welcoming Europe”, una proposta di legge popolare europea che mette al centro il sistema della sponsorship privata e che punta a raggiungere la quota di un milione di firme in 7 paesi europei entro febbraio 2019, così da poter essere direttamente proposta alla Commissione.
Quali sono le caratteristiche principali dei corridoi umanitari?
Innanzitutto ci sono in loco, all’inizio soprattutto nei campi profughi del Libano, associazioni che storicamente fanno attività umanitaria e che segnalano soggetti in condizione di vulnerabilità: questo è il principio fondamentale sulla base del quale vengono individuate le persone che parteciperanno al progetto. Non solamente quindi basandosi sui presupposti giuridici dell’asilo politico, anche perché si tratta di persone che scappano da una guerra e ci rientrerebbero nella totalità, ma dando priorità ad altri criteri come il fatto di essere anziani, malati, donne sole con bambini, persone che hanno subito particolari violenze. L’obiettivo dichiarato dai promotori è quello di fare in modo che quello dei corridoi umanitari diventi un modello di accoglienza e integrazione.
Un altro aspetto è che grazie ai corridoi umanitari si riescono a superare numerosi problemi di sicurezza. Le persone già al momento dell’individuazione sono sottoposte ad uno screening preliminare e successivamente gli viene garantita la possibilità di entrare in Europa evitando l’attraversamento del mare con barconi di fortuna.
Legato a questo, c’è il fatto che la modalità con cui sono pensati i corridoi umanitari consente la conoscenza reciproca e l’integrazione attraverso il principio della sponsorship privata: prima di individuare le persone vengono scelte qui in Italia enti, associazioni o, se ci sono i presupposti, anche cittadini privati che sono disposti ad ospitare queste persone. L’impegno richiesto è quello di fornire un alloggio gratuito per 18 -24 mesi e garantire il pocket money, inteso come disponibilità liquida di contanti per fare piccoli acquisti.
Dall’altra parte invece a chi arriva si richiede soprattutto di impegnarsi a seguire il percorso di integrazione. Per Sant’Egidio è fondamentale la lingua e con essa la costruzione di una prospettiva di totale autonomia che passa ovviamente dal lavoro. Questo percorso è vincolante ma non è sicuro che possa avvenire in tutto e per tutto. Bisogna calarlo nella realtà locale e in Umbria, per esempio, ci si scontra con la difficoltà ad inserire le persone nel mondo del lavoro.
Il risultato finale è molto apprezzato anche per la sua diffusione capillare su tutto il territorio nazionale che evita la formazione di ghetti.
Veniamo alla nostra Regione: che storia ha la Comunità di Sant’Egidio in Umbria?
Sant’Egidio e l’Umbria sono molto legati. Innanzitutto perché il fondatore, Andrea Riccardi, ha degli avi umbri. Ma il legame più importante è con Assisi e nasce dall’iniziativa del 1986 dell’incontro interreligioso voluto da Papa Giovanni Paolo II. Tra i fautori dell’evento c’era anche Sant’Egidio e da allora è nato il cosiddetto “Spirito di Assisi” che la Comunità ha preso in mano e che propone ogni anno in una città europea. Quest’anno, anche per l’attenzione dimostrata da Monsignor Zuppi per le problematiche sull’immigrazione, si farà a Bologna. A dimostrazione di questo legame, il 15 giugno scorso il Consiglio Comunale di Assisi ha deciso di dare la cittadinanza onoraria al fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, “per il suo lavoro per la pace ed il dialogo”.
Sant’Egidio a Perugia è invece molto più giovane, è nata due anni fa grazie a Valerio De Cesaris, professore dell’Università per Stranieri e membro della Comunità di Roma, che ha coinvolto studenti e non, per formare un gruppo anche qui. Da allora ci riuniamo stabilmente.
Il Papa ci ha definito la comunità delle tre P: Preghiera, Poveri e Pace. Quindi su questa indicazione noi facciamo la stessa cosa: ci riuniamo due volte al mese nella Chiesa dei Santi Stefano e Valentino in Via dei Priori per la preghiera per la pace ed i malati e poi organizziamo iniziative specifiche come quelle di sostegno alle famiglie arrivate con i corridoi umanitari.
A proposito delle famiglie arrivate in Umbria, ce ne vuoi parlare?
La prima famiglia a Perugia è arrivata a dicembre 2016 su iniziativa della Caritas in veste di ente ospitante. Abitavano a Damasco, dove lui faceva il cuoco lei l’insegnate di economia all’Università e, in seguito alla guerra sono fuggiti con i loro bambini piccoli verso il Libano. Una volta qui, lui ha trovato abbastanza facilmente un’occupazione in un ristorante di Perugia, anche perché aveva già avuto esperienze lavorative all’estero. Mentre lei si è iscritta all’Università e sta studiando Comunicazione Internazionale. I bambini si sono inseriti forse meglio dei genitori e ora vanno a scuola vicino casa. Mi dicevano, non senza un po’ di dispiacere, che addirittura il più piccolo tende a dimenticare la lingua d’origine. La seconda famiglia era di Homs ed è arrivata a maggio di quest’anno. Ora i figli sono stati iscritti a scuola mentre i genitori prima di poter cominciare il percorso d’inserimento lavorativo continuano a studiare l’italiano, sia grazie al supporto dei volontari della Comunità sia dei corsi strutturati nel territorio. Entrambe sono famiglie cristiane siriane, che oltre al fatto di scappare dalla guerra e di costituire una minoranza religiosa nel loro Paese, hanno la vulnerabilità di avere bambini piccoli con loro. Ci sono ancora centinaia di migliaia di siriani che vivono nei campi profughi e, nonostante gli sforzi fatti, il Libano non riesce a gestire tutti i rifugiati. Oggi in parte stanno rientrando in Siria per la situazione di relativa stabilità che si è creata ma il Paese è distrutto. Sappiamo che è una goccia nel mare rispetto alle richieste, ma lo si fa con la prospettiva che questa modalità di accoglienza diventi strutturale e che, insieme ad altre misure, produca effetti positivi nella gestione dell’immigrazione.
Quali iniziative avete in cantiere in Umbria?
Per ora grazie alle capacità culinarie di Hussam (padre della prima famiglia menzionata – ndr), abbiamo organizzato delle serate al ristorante dove lavora, o in parrocchia. Poi altri abbiamo fatto incontri di presentazione del progetto dei corridoi umanitari. Per “Il maggio dei libri” siamo stati ospiti dell’ITIS Giordano Bruno, e sempre a Perugia abbiamo partecipato ad un incontro pressa la Biblioteca comunale di San Matteo degli Armeni. Quest’anno vorremmo fare ancora di più e lanciare la “Scuola della Pace” una proposta didattica per le Scuole Elementari ovvero un doposcuola gratuito che sostiene il bambino nell’inserimento scolastico e intende favorire la conoscenza e l’integrazione tra i bambini italiani e stranieri e le loro famiglie. Vi terremo aggiornati!
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