Una storia come tante, ma anche unica: la vita nel villaggio, e il viaggio di 19 mesi attraverso l’Africa e verso l’Italia: questo e molto di più è Il castello nell’uovo, il libro scritto a quattro mani da Bakary Coulibaly e Luisa Concetti e pubblicato dalla casa editrice Albatros, che fin dall’inizio si è mostrata entusiasta del libro e ha deciso di pubblicarlo. Abbiamo parlato con Bakary e Luisa per capire di più di questa avventura editoriale.
Tutto inizia durante il tempo passato insieme per lavoro, come operatori nel sistema di accoglienza in Umbria: appunti segnati su un quaderno, che tenevano il conto degli episodi raccontati da Bakary, dei suoi ricordi, e delle emozioni che questi suscitavano.
L’obiettivo del libro, ci spiega Luisa, “è, a livello ideale, far capire ad un’Italia che si scopre razzista il perché queste persone partano, e far conoscere le loro storie. Quella di Bakary è una storia complicata, ma solo una di tante. Perché ci si scorda che ognuno ha una storia”. “Per esempio”, dice Bakary, “non è che mi sono svegliato una mattina con l’idea di arrivare in Italia. Semplicemente, dopo mesi viaggiando per l’Africa, per una serie di circostanze mi sono ritrovato qui. Ma ci sono tante storie più complicate della mia”.
Come è iniziato tutto?
Bakary: L’idea di scrivere il libro è venuta a Luisa: stando insieme per lavoro quasi 24 ore al giorno, abbiamo iniziato ad insegnarci cose a vicenda. Per far capire a Luisa quello che volevo dire, spesso parlavo delle usanze bambara. E lei prendeva appunti.
Luisa: Nelle sue parole c’era una saggezza che ormai in Italia non c’è più. la capacità di spiegare concetti difficili in poche parole.
B.: vedevo il suo interesse, e mi dava soddisfazione che fosse così attenta. Quando vedevo qualcosa che mi faceva ripensare al mio passato ne parlavo, e lei scriveva. Per alcune cose non ci trovavamo d’accordo …
L.: Ad esempio quando si parlava delle donne, della loro condizione, o della poligamia.
B.: … e a quel punto Luisa lasciava la penna e iniziavamo a discutere. Questo è cambiato solo quando è venuta in Mali e ha parlato con le donne del villaggio, a quel punto ha capito la situazione.
A proposito del villaggio, nel libro non si parla solo del viaggio in sé, ma anche di quello che è successo prima della partenza
L.: Bakary si deve trovare in una situazione, e da lì scaturiscono i suoi ricordi. Delle situazioni drammatiche vissute è stato difficile parlare, sono cose che sono venute man mano. Magari raccontando Bakary rimaneva superficiale, e a quel punto facevo domande per saperne di più. “A che pensavi in quel momento?”, “Cosa provavi?”. Sono state come delle sezioni di psicoterapia. Ma sono racconti importanti, per Bakary difficili da raccontare. E alcune volte è stato difficile anche ascoltarle e scriverne.
B.: Ad esempio, lavorare con ragazzi in situazioni complicate mi faceva venire in mente la vita che facevo in Libia, in una casa abbandonata. Oppure quando vedevo una persona vicino ad un poliziotto, mi sembrava assurdo: in Libia se vedi un poliziotto ad un chilometro devi scappare.
L.: Vedi? Dal nulla, parlando normalmente, ti tira fuori cose così.
A questo proposito, come è stato raccontare la tua storia?
B.: è stato strano all’inizio, soprattutto quando vedevo che prendeva appunti. Ma mi sono aperto con Luisa perché ho potuto vedere quanto fosse interessata al Mali: qualsiasi cosa raccontassi del Mali accendeva la sua attenzione. Questo mi incoraggiava a parlarne, e parlare con lei di momenti critici, che mi tenevo dentro, è stato terapeutico. Per esempio sulla morte di mio padre, o quello che succedeva nella mia famiglia. A volte non riuscivo a parlarne subito, e lei ha sempre capito che fosse il caso di fermarci.
E poi?
L.: E poi, quando abbiamo deciso di fare un libro, è iniziato “l’interrogatorio” per cercare di capire il senso profondo di quello che mi aveva raccontato. “Cosa sono i 6.666 segni sulla sabbia di cui parlava tuo nonno? Cosa significavano? Dove eravate quando ne parlavate?”. È successo di chiamarlo alle 6 della mattina per farmi spiegare i dettagli di una cosa che mi aveva detto, o scoprire quello che era nascosto dietro le sue parole. Quando si svegliava e vedeva i miei messaggi gli sarà venuto il panico!
B.: È difficile spiegare qualcosa in una lingua che non è la tua lingua madre. È successo che dopo aver letto gli appunti di Luisa io capissi che il messaggio che volevo far passare invece era rimasto solo nella mia mente. E allora dovevo spiegare, e si ricominciava daccapo.
Facciamo un piccolo spoiler: l’evento più recente raccontato nel libro riguarda l’arrivo a Lampedusa. Perché non avete continuato con l’esperienza in Italia?
B.: A dire la verità all’inizio non eravamo d’accordo sul come finire il libro, se fermarci con l’arrivo a Lampedusa, come diceva Luisa, o continuare con quello che è successo dopo, come ritenevo io. Alla fine abbiamo scelto la prima opzione.
L.: Il fatto è che siamo partiti volendo raccontare del viaggio. Quella di Bakary è una vita piena di episodi, e continuando avremmo corso il rischio di sminuire l’importanza di ciò che era successo fino a quel punto. In più c’è un discorso di “deformazione professionale”, dato che mi occupo di ricostruire insieme ai ragazzi che chiedono il l’asilo in Italia i motivi della loro partenza. Perché nessuno vuole veramente lasciare il proprio Paese. Insomma, il libro è il suo, è la sua storia. Non si raccontano gli episodi più recenti, ma è importante raccontare come la storia è andata avanti fino al suo arrivo in Italia.
Come sta andando la presentazione del libro? Quali sono i prossimi appuntamenti?
L.: l’ultima presentazione è stata allo stand di Omphalos a “Fa’ la cosa giusta Umbria”, a metà novembre. Le prossime saranno il 3 dicembre a Mugnano e in una scuola di Napoli, un liceo. Poi il 4 dicembre vicino a Caserta, il 6 dicembre a Bologna, il 28 a Corciano.
B.: Abbiamo avuto molti feedback e commenti molto positivi, e tutti ci dicono che è un libro che deve essere letto nelle scuole.
L.: Quando Bakary è partito da Nerekoro aveva 15 anni. Le insegnanti lo prendono come spunto di riflessione e per sensibilizzare contro la discriminazione,
B.: E per far capire ai ragazzi quanto siano fortunati a essere nati “nel posto giusto”, che se lo sono è solo grazie ai ciò che hanno fatto i loro nonni, e che non possono adagiarsi sugli allori. Alle presentazioni nelle scuole c’è stata sempre tanta commozione, e molto interesse, a prescindere che fossimo in una scuola elementare o in un’Università. I bambini sono molto curiosi, e vogliono sempre sapere com’è la vita nei villaggi del Mali. Una classe è stata così toccata che ha convinto i genitori a comprare medicine domandare al mio villaggio. Ho davvero lasciato il mio cuore in quella classe, ci torneremo per ringraziare tutti di un gesto così importante.
Abbiamo parlato all’inizio dell’obiettivo ideale del libro, ma ce n’è anche un altro, concreto e raggiungibile: il ricavato servirà per finanziare la costruzione di un pozzo e per fare un orto da 1 ettaro, coltivabile in modo intensivo dalle donne del villaggio di Nerekoro. La ragione della scelta ce la spiega Luisa: “In questo modo le donne di Nerekoro potranno acquisire una posizione sociale all’interno del villaggio, come donne, che al momento è loro preclusa perché completamente dipendenti dagli uomini a livello economico, e in secondo piano a livello sociale. Il loro unico ruolo è quello di badare alla casa e fare figli, e tutto quello che fanno è un dovere. Con il pozzo e l’orto speriamo di cambiare questa situazione”.
Il libro è acquistabile nelle librerie, sul sito del Gruppo Albatros Il Filo o su Amazon.
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