Autobiografia di Malcolm X – Alex Haley

Odiavamo la nostra testa, odiavamo la forma del nostro naso, volevamo uno di quei nasi lunghi da cane, sapete quali. Odiavamo il colore della nostra pelle, odiavamo il sangue dell’africa che avevamo nelle vene. E odiando i nostri lineamenti e la nostra pelle e il nostro sangue, chiaro, non potevamo che finire per odiare noi stessi. (…) La nostra pelle è diventata una trappola, una prigione; ci siamo sentiti inferiori, inadeguati, impotenti.

 La storia intensa di un uomo e di un movimento che ha rappresentato la voce più forte e più arrabbiata della lotta per i diritti civili degli afroamericani,  è stata ascoltata e riportata dal giornalista e scrittore statunitense Alex Haley.

Il suo nome era Malcolm X, una delle figure più rappresentative del nazionalismo nero con una semplice lettera come cognome, in apparenza priva di significati, ma che rappresentava un simbolo importante, scelto finalmente da lui e non derivante dallo schiavismo.

Nato nel 1925 a Omaha, in Nebraska, Malcolm X era il quarto figlio del reverendo Earl Little e dell’attivista Louise Little, entrambi seguaci del panafricano Marcus Garavey, leader di un’organizzazione che si batteva per la libertà e i diritti civili degli afroamericani. Sebbene il movimento fosse consolidato in tutto il mondo, i seguaci subirono continue molestie e violente ritorsioni da parte del Ku Klux Klan, portando la famiglia di Malcom X a cambiare città diverse volte: tre dei i suoi otto fratelli vennero uccisi, di cui uno linciato, suo padre morì per circostanze misteriose, sua madre fu internata in un centro psichiatrico e la sua casa bruciata.

Un’infanzia estremamente difficile, che lo costrinse a lasciare il liceo, perché quel professore che stimava di più, un modello, rispetto al suo sogno di diventare avvocato, gli disse: non è un’ambizione realistica per un negro.

 Malcolm divenne così una persona sempre più arrabbiata e si trasferì a New York, facendo lavoretti per sopravvivere, finendo però poi in carcere, all’inizio per furto, rapina e gioco d’azzardo e poi per spaccio di droga, fino ad aggiudicarsi una pena per ben dieci anni nella prigione di Charleston nel 1946. Un periodo importante che segnerà la sua vita successivamente, attraverso le lettere del fratello Reginald che gli chiese di unirsi alla Nation of Islam, un gruppo politico che puntava alla rinascita sociale, morale ed religiosa degli afroamericani attraverso l’Islam con l’obiettivo di creare una Nazione separata dagli Stati Uniti.

Affascinato dagli insegnamenti del capofila del movimento, Elijah Muhammed, una volta uscito dal carcere nel 1952, diventò il portavoce del Nation of Islam, per trasformarsi nel pastore Malcolm X: tutte le volte che vedete un bianco pensate che è il diavolo! (…) Fratelli e sorelle, l’uomo bianco ha fatto un continuo lavaggio del cervello a noi negri perché concentrassimo il nostro sguardo estatico su Gesù dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Noi adoriamo questo Gesù che neppure ci somiglia. Si proprio così! Ora seguitemi, ascoltate gli insegnamenti del Messaggero di Allah!  

Dieci anni dopo, il 1963 fu un anno cruciale con l’arrivo di Martin Luther King e l’assassinio di Kennedy, ma Malcolm X aveva una visione diversa, le radici del problema andavano ricercate da un’altra parte, lontano dalla società bianca, anche quando i neri cercavano di ricostruirla.

Nel momento in cui la sua voce ebbe una portata internazionale, i dissidi sia all’esterno che all’interno del movimento aumentarono, Malcolm ricevette tantissime minacce e si separò dall’organizzazione, cambiando pensiero sul leader che aveva adorato e servito fino a quel momento: Là sulla collina della Terra Santa, mi resi conto di quanto sia pericoloso elevare un essere umano a tale livello (…) sono per la verità non mi importa chi la dice. Sono per la giustizia, non importa chi è in favore o contro. Prima di tutto sono un essere umano e come tale sono per chiunque contribuisca a emancipare l’umanità nel suo insieme.

Malcom X fu assassinato durante un comizio, il 21 febbraio del 1965: I bianchi si serviranno di me morto allo stesso modo in cui mi hanno strumentalizzato da vivo, presentandomi come un comodo simbolo di odio, e ciò per sfuggire alla verità riflessa come in uno specchio da tutte le mie azioni intese a mostrare la storia dei crimini innominabili che la razza bianca ha commesso contro la mia. Vedrete. (…) Sì è vero ho amato il mio ruolo di demagogo. So benissimo che spesso la società ha ucciso colo che avevano contribuito a cambiarla se mi sarà dato di morire dopo aver portato una luce, aver rivelato qualche importante verità che valga a distruggere il cancro razzista che divora il corpo dell’America, ebbene tutto ciò sarà dovuto ad Allah. Miei rimarranno solo gli errori.

Una autobiografia imprescindibile per approfondire una figura che ha fatto la storia nella rivolta degli afroamericani contro il razzismo e la discriminazione.

Per chiunque fosse interessato il testo è disponibile al Centro di Documentazione sulla Migrazione di CIDIS.

https://cidisonlus.org/

 

 


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