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Parte il 3 giugno il percorso interdisciplinare sulle mutilazioni genitali femminili del progetto AMINATA – scadenza domande: 29 maggio

Secondo le stime della ONG ActionAid sono circa 200 milioni le donne che hanno subito una mutilazione genitale femminile. Diverse sono le motivazioni alla base di queste procedure, da quelle religiose a quelle “igieniche” o “sanitarie” (i virgolettati sono d’obbligo, come vedremo tra poco), soprattutto la pressione sociale esercitata su chi cerca di sottrarvisi o rifiuta di sottoporvi la proprie figlie. Diverse sono anche le modalità, a seconda del tipo di intervento sugli organi genitali esterni.

Si parla però sempre e comunque di pratiche dolorose ed invasive, che comportano seri pericoli per la salute tanto nell’immediato (sanguinamento eccessivo, infezioni, shock neurogenici per il troppo dolore), quanto nel lungo periodo, con difficoltà ad urinare, infezioni, cisti, dolore durante i rapporti sessuali, e gravi pericoli durante il parto sia per la partoriente che per il nascituro.

Si tratta insomma di una pratica che lascia cicatrici indelebili nel corpo e nella mente di chi vi è sottoposto, secondo l’UNICEF circa 3 milioni di bambine e giovani ogni anno tra Africa, Medio Oriente e Asia. E in parte anche in Europa, dove resta una pratica ancora presente in alcune comunità provenienti dai Paesi dove è ancora normalmente praticato e socialmente accettato.

Non è insomma un problema lontano da noi. Ed è per questo che vi segnaliamo l’iniziativa promossa da Cidis , che punta a trattare del tema seguendo un approccio interdisciplinare e con professionisti del settore. Il percorso formativo “Saperi in rete per un approccio interdisciplinare alle Mutilazioni dei Genitali Femminili” all’interno del progetto AMINATA –  self reliance per donne vittime di Mutilazioni dei Genitali Femminili, sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, partirà il 3 giugno, alle 9.30.

Il percorso formativo vuole rafforzare le competenze interculturali degli operatori del privato sociale e del pubblico sulla tematica delle mutilazioni o modificazioni dei genitali femminili. È strutturato in 5 giornate formative (20 ore totali) di approfondimento su aspetti socio-antropologici, psicologici, medici e sanitari, giuridici, comunicativi e interculturali secondo una prospettiva interdisciplinare e con gli interventi di esperti quali antropologi, operatori legali ed avvocati, personale medico, mediatori culturali.. Il percorso intende inoltre promuovere un approccio culturalmente sensibile per la presa in carico di donne sopravvissute o a rischio di essere sottoposte alle pratiche di mutilazione dei genitali femminili.

A causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Covid19 il percorso formativo verrà realizzato a distanza utilizzando la piattaforma online ZOOM, con la presenza di un tutor d’aula multimediale.

Il percorso è aperto a:

  • operatori/operatrici dei centri di accoglienza per richiedenti asilo e protezione internazionale (SIPROIMI, CAS), operatori/operatrici della salute, assistenti sociali, operatori/operatrici legali, mediatori/mediatrici culturali e linguistici.
  • studenti/studentesse di discipline demoetnoantropologiche, mediche, legali, operatori/operatrici della comunicazione.

La partecipazione al corso è a titolo gratuito. Le iscrizioni dovranno pervenire entro e non oltre il 29 Maggio 2020 ore 17.00, esclusivamente tramite la compilazione ed invio del modulo online al link  https://forms.gle/pztM4KyPqkBfLbWk8 e l’invio della copia del Documento d’identità (Carta d’identità o passaporto).

L’attestato di partecipazione verrà rilasciato al superamento del 60% delle ore di formazione, in totale 20 ore divise in cinque incontri: 3 giugno, 10 giugno, 16 giugno, 24 giugno e 29 giugno.

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